mercoledì 16 settembre 2009

Tour Bike della Transumanza


Sabato, 08 agosto 2009, ore 17:00

Ecco fatto: il mio tour bike finisce qui, tra Fonte Licia e Forca Trivella.

Sono rimasto appiedato, e questa volta mi sembra che neppure Raffaele può fare il miracolo.
Juliette è a terra, sembra un animale ferito che grida di dolore. E' soltanto colpa mia.

Ormai non sono più lucido, dopo il panino a Pescasseroli c'è stata la salita: Passo del Diavolo, poi Fontanile Cicerana. Non riesco più a concentrarmi.
Nell'arco di mezz'ora sono caduto, in discesa; poi ho spezzato la catena e Raffaele l'ha riparata. Ma siccome non c'è due senza tre, dopo cinquecento metri la catena s'è incastrata in mezzo tra due corone.

Raffaele, ancora una volta, si è fermato per soccorrermi e sta strattonando pericolosamente la catena, per tentare di liberarla. A me sembra proprio impossibile: ho paura che si ferisca alle mani, urtando contro le corone, e gli chiedo di lasciar stare, e di proseguire, per farmi venire a prendere dal fuoristrada. Ormai mi voglio arrendere.

Anche Raffaele sembra rassegnato. E' molto calmo, mantiene il controllo della situazione, però si capisce che è esausto anche lui. Mi dice che dobbiamo sbrigarci perché viene a piovere, difatti alzo gli occhi e c'è un nuvolone nero nero come il carbone, che ci sovrasta. Inizia a cadere qualche goccia. Intanto, le mosche ci sbranano. Peggio di cosi'....

E' un vero peccato, non solo per me, anche per Juliette: ci tenevamo tanto a completare questo tour bike con le nostre forze! Ormai, a pochi chilometri dall'arrivo, dovremo rinunciare ad entrare con il gruppo a Villavallelonga. Ho rovinato tutto, sono proprio un principiante!

Rivedo scorrere davanti agli occhi tutti i chilometri che abbiamo fatto, e penso ancora una volta che tanta fatica non è valsa a niente...

L'inizio
Il nostro tour bike è iniziato lo scorso Gennaio, quando ho letto per caso un articolo che parlava della quarta edizione (anno 2007).
Dopo qualche istante ero già collegato al sito della Vallelongabike, a guardarmi le foto ed a fantasticare su quanto sarebbe stato straordinario potervi partecipare.

Mi sono iscritto subito, anzi credo proprio di essere stato il primo, ed ho offerto la mia collaborazione a Luigi per definire il tratto mancante nelle tracce 2008, quello tra Lucera e Ortanova.

Durante questi mesi, ho lavorato a rilevare gli sterrati nella zona Herdonia – Casalnuovo Monterotaro, per definire il percorso 2009. Abbiamo fatto anche un paio di escursioni in gruppo, con Luigi, Giuseppe e Raffaele, venuti apposta dall'Abruzzo.

Nel frattempo, abbiamo dato un po' di vita al forum di vallelongabike, che giaceva agonizzante. E' bastato aprire un thread sul tour bike, e qualcuno timidamente è saltato fuori. Adesso c'è un gruppetto di quattro-cinque utenti che postano regolarmente. Ci sarebbero tante cose da scrivere, ma forse è meglio arrivarci gradualmente.

Poi è arrivato il giorno della partenza, all'improvviso, prepotentemente.

Il raduno
Ci siamo ritrovati al pomeriggio del 5 agosto davanti all'Hotel Herdonia, ad aspettare gli altri partecipanti provenienti dall'Abruzzo. Non sembriamo un gruppo molto affiatato, ognuno fa capannello a sé, forse per integrarsi nel gruppo ci vuole un po' di tempo.

Ho rivisto Domenico ed Oreste, che avevo già conosciuto, ed ho incontrato Beppe, Pietro, Vincenzo e Babette, la compagna di Oreste.

Alla sera c'è stato il briefing, al quale tra l'altro io ho presentato il percorso 2009: salite, discese, acqua... C'è il Sindaco di Orta Nova e quello di Villavallelonga, suggerisco loro di iniziare a segnalare il percorso. La maggior parte dei partecipanti sembra annoiata, mi guardano con superiorità come per dire “... e che cosa vuole adesso, questo?....” ma alcuni si avvicinano, a fine presentazione, e mi fanno domande intelligenti. Bravi. Allora ne valeva la pena.

Rivedo pure Cesare, che ho conosciuto per lavoro qualche tempo fa. Mi dice che e' di Avezzano, io me lo ero dimenticato. Un saluto ed e' già ora di mangiare.

C'è la cena, il nostro “primo momento di aggregazione”.

Mi sono seduto ad un tavolo qualsiasi, vicino al proiettore, dove non conosco nessuno, ma ne salta fuori un gruppo molto interessante. Ci sono due bikers romani della ASD Pedalando, anzi sono due soci fondatori: un vero onore, anche se dimostro tutta la mia inesperienza quando ammetto di non aver mai visitato il loro sito internet. C'è un altro biker romano, Tony, sento che parla del Nepal, mi chiede informazioni sul tracciato per il suo 705. Poi c'è una coppia che arriva da Bari, lei si chiama Florinda e non pedalerà ma dimostra grande entusiasmo ed interesse, si capisce che le piace molto l'iniziativa. Va a finire che affrontiamo il tema del matrimonio (e ti pareva!) e di tutti i sacrifici che un povero marito biker deve fare per ritagliarsi uno spazio per pedalare. Lei mi stronca con un “... ma questo sport non è il solito calcetto....”. Amen! :-)

Dopo cena, versamento della quota di iscrizione e distribuzione dei pacchi gara. Più che una distribuzione vera e propria, è un assalto. Vedo la “nostra” maglia di quest'anno, per la prima volta. Non mi piace, è senza maniche, ma non credo di avere voce in capitolo. Nel pacco ci sono pure un paio di guanti da portiere :-) ed una bustina di sali minerali. Qualcuno deve aver trovato anche gli integratori che Oreste ha recuperato dal suo amico. Io per fortuna ho provveduto ad attrezzarmi autonomamente.

Trovo anche il numero gara, uno di quelli che ho preparato io stesso: a me il destino ha riservato il 42, per poco non ho beccato il numero di Valentino Rossi. Vabbe', vado a dormire a casa. Devo ancora fare i bagagli e Juliette mi aspetta in garage.

Juliette è la mia mountain bike. Ci siamo conosciuti su internet, come avviene ormai tanto frequentemente. Da parte mia, è stato amore a prima vista. Quando ho letto che Oreste ha dato un nome alla sua bicicletta, all'inizio ho riso come un matto. Poi ci ho ripensato, che cosa vuoi, sono un tipo riflessivo: ho pensato innanzitutto a mio padre. Lui era camionista, ed aveva un rapporto tutto suo, maniacale, con il nostro camion. Anche mio nonno era molto geloso della sua bicicletta, prima, e del suo trattore, poi.

Loro due hanno sempre trattato con rispetto ed amicizia i rispettivi veicoli, a me sembra proprio come se fossero esseri viventi: fedeli compagni di viaggio, anziché freddi mezzi di trasporto. Ho concluso che la cosa aveva un senso.

Ed eccola qua; dopo tanti chilometri insieme, la mia mountain bike adesso ha un nome: Juliette, è la mia compagna di viaggio, una bella bionda. L'ho chiamata così in onore di Julien Absalon, del quale c'è il nome stampato sul telaio. E poi, il nostro è un amore impossibile.... :-)

Non è certo nuovissima, ma mi piace molto. E poi è superlativa, rispetto alle mie potenzialità.


Al mattino dopo, mentre caricavo i bagagli nel furgone, mi sono fermato per qualche istante a godermi la scena: cento bikers non li vedi tutte le mattine. Qualcuno controlla la pressione delle gomme, altri gironzano nervosi in su ed in giù. La prima cosa che mi colpisce è il colore: siamo molto variopinti; poi, al secondo posto, il casino!

Ci sono mtb di ogni marca e tipo, principalmente Scott e Specialized, Giant, Cannondale, Corratec, Canyon, vedo una Wilier, una Rocky Mountain, qualche Bianchi ed una Decathlon. Si intuisce che il livello tecnico è medio alto, la sensazione è che come minimo siamo cento “fissati”.

Facciamo la classica foto di gruppo, sulle scale dell'Herdonia, e saltiamo in sella. Siamo tutti impazienti di iniziare questo tour bike.

La partenza
Al momento della partenza, Luigi azzarda una impennata improbabile, che gli costerà una pericolosa caduta ed una figuraccia indimenticabile, oltre a compromettere le prime due tappe. Ma Luigi è fatto così: è un casinista puro, se va tutto liscio lui non si diverte; e poi, è di Canosa e questo fatto da solo giustifica tutto il resto. :-)

Intanto succede un fatto imprevisto: il solito Luigi :-) ha caricato le tracce nei GPS della Vallelongabike, ma non si è accorto che la tracce sono state troncate. Nel GPS di Giuseppe ci sono i primi 500 punti, circa 60 Km, praticamente arriva poco oltre Lucera. E' un vero problema. Il mio, invece, c'ha tutta la traccia fino a Campobasso.

Giuseppe mi chiede di mettermi davanti al gruppo assieme a lui, per fare strada. Questo è un grande onore, ma è anche un grande problema: non sono in grado di mantenere il passo del gruppo, soprattutto in salita.

Partiamo così, alle 07:20, io e Giuseppe davanti e tanti scalmanati dietro, che fischiano e suonano campanacci. Un casino! Veniamo scortati dalla Polizia Municipale di Orta Nova che ci farà passare sulla SS16: ed è saltato il primo tratto di sterrato! :-)

In questo primo tratto non si avverte ancora il vento contrario, che invece caratterizzerà la prima giornata fino a Castelnuovo della Daunia.

Giungiamo ad Orta Nova, ci fermiamo a fare rifornimento d'acqua alla fontanella dell'Acquedotto Pugliese su Via Tratturo Incoronata; ma siamo in tanti, e si fa tardi. Raffaele arriva e ci cazzia subito, di primo mattino. Salgo in sella un po' sfiduciato, mi sembra tutto molto disorganizzato.

Divoriamo il Tratturo Incoronata in quattro e quattr'otto. Il fondo, stavolta, è asciutto, anzi il terreno è spaccato dal sole. Ricordo ancora quando ci sono venuto questa primavera, per le ricognizioni: il terreno era umido e per passare ho fatto il bagno con il fango, tutto sommato è stato bello, proprio come per un bambino che gioca con le pozzanghere. Ormai il grano è stato mietuto, io posso dire di averlo visto crescere durante questi mesi. Il paesaggio sembra diverso: i colori sono passati dal marrone scuro, al verde brillante, ed ormai su ogni al tra cosa regna il giallo spento. Siamo completamente esposti ad un vento teso, di maestrale, che ci colpisce violentemente. Abbiamo cominciato male, ma era prevedibile. Siamo nel Tavoliere e stiamo andando verso il Subappennino, due regioni ormai invase (deturpate?) dalle pale eoliche. Un motivo ci sarà! :-)

Di fianco a me ci sono Giuseppe e Tony, il biker romano che ho conosciuto a cena ieri sera, e che nei prossimi giorni si rivelerà un aiuto importante per accompagnare Giuseppe in testa al gruppo, al posto mio. Dietro, tanti scalmanati che iniziano a mugugnare :-) Qualcuno si lamenta dell'andatura, qualcun altro si lamenta del vento; in questo momento mi viene in mente il ritornello di Stranamore, una canzone di Vecchioni, che dice: “Forse non lo sai, ma pure questo è amore”. Finisce che ripeto questa frase, a sproposito, e la ripeterò anche nei prossimi giorni, tutte le volte che qualcuno si lamenterà per qualcosa.

Santuario dell'Incoronata
All'Incoronata ci fermiamo a scattare qualche foto e facciamo rifornimento d'acqua: un progettista previdente ha fatto realizzare quattro fontanelle alla base del campanile. Qualcuno entra nel Santuario per rendere grazie alla Madonna, facciamo pure una foto di gruppo sul sagrato, poi saltiamo in sella e facciamo per partire ma il sacerdote ci intercetta: accende la musica e ci chiama dagli altoparlanti. Finisce che ci invita ad entrare in chiesa, bici e tutto il resto, per la benedizione. E' un imprevisto molto emozionante. Credo che non siano in tanti a poter raccontare di essere entrati in una chiesa con la propria bicicletta. Ci parla della Madonna dell'Incoronata, protettrice dei pastori, e del suo culto che risale a 1008 anni fa. Poi ci benedice, io prendo un po' d'olio santo e lo metto nel borsello degli attrezzi. Finalmente ripartiamo.

Inizia il tratto verso Borgo Segezia. E' un susseguirsi di strade asfaltate, in mezzo al Tavoliere delle Puglie. Il paesaggio è piatto, tutto coltivato a grano ed ortaggi, niente acqua e niente alberi, c'è soltanto qualche ciuffo di vegetazione lungo i (pochi) corsi d'acqua e sul ciglio di qualche strada. All'orizzonte si vede il subappennino ed i boschi verso Monte Cornacchia, ma noi non ci passeremo. Il maestrale ci spazza.

Avverto Giuseppe che a Segezia dovremo ricompattarci per attraversare tutti assieme la SS90, ne viene fuori una sosta imprevista, con tanto di assalto al chiosco della frutta e verdura che sta lì di fianco all'ufficio postale. Passa un gruppo di ciclisti, ci guardano stupiti, ma non sono interessati a noi. Io ne approfitto per mangiare una barretta energetica, e bere un po' di acqua e sali minerali.

Vincenzo, che è il nostro cameraman ufficiale, riprende quello che succede. Vedo che anche Florinda, la ragazza che era a cena ieri sera al nostro tavolo, fa tante foto.

Finora abbiamo percorso 32 Km., ma sono stati controvento ed io sono già con il fiatone.

Ripartiamo verso Borgo San Giusto, in testa al gruppo si chiacchiera: facciamo qualche commento sui muri di crusta che cingono i campi, ed intanto passo sopra un ramo spezzato, senza farci molta attenzione. Dopo qualche chilometro Juliette inizia a diventare pesante, piano piano scivolo indietro e vengo prima risucchiato dal gruppo, poi rimango ultimo. Mi rendo conto di aver forato la ruota davanti, e non sono stato neppure l'unico! Eccola qua, una spina di acacia s'è conficcata nel copertone. Luigi si è fermato per vedere se ho bisogno di aiuto, gonfiamo la ruota con la schiuma e poi ripartiamo. Qualcuno fa un'osservazione sulla superiorità delle ruote tubeless rispetto a quelle con camera d'aria, e lo fa a ragion veduta: entro la fine della giornata, per le camere d'aria sarà una strage.

Lucera
Proseguo fino a Lucera quasi in solitaria, in fondo al gruppo. Il vento è sempre teso e contrario, fortissimo, e la strada qui è in leggera salita. Alcuni sono già saliti nel furgone. Io tengo duro, ma sono in ritardo. Li ritrovo tutti sotto il cavalcavia, mi aspettano per andare al centro commerciale. Faccio presente che c'è anche Oreste, che è di casa; lui non se lo lascia ripetere e schizza via in testa al gruppo, guidandoci fino all'Eurospar.

Finalmente facciamo una sosta seria. Paolo ci aspetta nel parcheggio, ha fatto bene ad evitarsi i primi 52 Km. Entriamo tutti nell'ipermercato e facciamo provvista di acqua, bibite e frutta, principalmente banane ma vedo anche uva. I clienti dell'ipermercato, in fila alla cassa assieme a noi, sono letteralmente indifferenti, anzi sembrano scocciati per questa coda imprevista. Qualche bambino ci guarda incuriosito, mentre i genitori ci ignorano. Uno dei nostri passa con un pacco di wurstel in mano. Io e Luigi facciamo una riflessione: ognuno c'ha il suo metodo, per recuperare energie. :-)

Il tempo vola. Un sorso dalla borraccia e siamo pronti a ripartire. Il giro turistico dentro Lucera è saltato, ancora una volta mi chiedono di stare davanti: Giuseppe ha il GPS con la traccia troncata, tra qualche chilometro rimarrà senza guida. Io parto di nuovo davanti a tutti, ho una incertezza alla svolta dopo le fornaci e freno di colpo, mi becco un vaffanculo dal gruppo ma me lo merito. Passiamo sotto il castello e poi davanti alla grande quercia di Santa Giusta. Oreste è su di giri, ci spiega che questo è il suo percorso di allenamento e ci parla dei suoi avi transumanti che affittavano la masseria proprio lì dietro. Ci racconta che un tempo tutta questa zona era piena di querce. Paolo aggiunge che dopo la guerra le hanno fatte saltare con il tritolo. Che tristezza!

Prendiamo la SP6, dove i furgoni ci stanno aspettando, ed iniziamo a salire verso Castelnuovo della Daunia. Il vento adesso è ancora più forte, noi gli andiamo esattamente contro. Qualcuno mi urla di togliere un paio di denti dal pignone, io eseguo e i pedali iniziano ad essere un po' più leggeri, ma inevitabilmente perdo terreno rispetto alla testa del gruppo. Ormai Giuseppe è senza traccia, ci scambiamo i GPS e dopo avergli spiegato a voce qual è la strada lo vedo ripartire a tutta birra in salita per riguadagnare la testa del gruppo. Io, invece, rimango indietro e ormai sono in fondo al gruppo, giusto davanti ai furgoni.

La salita
Vorrei tenere duro e salire a Castelnuovo con le mie forze, ormai mancano un paio di chilometri al bivio. Il paesaggio è spettacolare, alla nostra destra da qui si vede tutto il Tavoliere fino al Gargano, ed alla nostra sinistra c'e' il Subappennino che ci sovrasta; ma il sole ed il vento mi hanno stremato. Mi tornano in mente le parole del mio medico, quella volta che gli chiesi se potevo fare mountain bike: “Qualunque sport fa bene, se fatto con moderazione”. Beh, in questo momento lo sforzo che sto compiendo non mi sembra esattamente moderato. Prima mi aggrappo al furgone, assieme ad un altro partecipante. Poi decidiamo di salire a bordo. Juliette la carichiamo nell'altro furgone, con le sue sorelle, ma è una sistemazione che non mi piace e mi prende un senso di ansia quando le vedo una attaccata all'altra.

Nel furgone cabinato siamo in tanti, praticamente non c'è più posto. Ritrovo Florinda, c'è anche Babette. La tappa era prevista alle sorgenti, ma ci portano fino al paese, dove il gruppo ci aspetta ai giardinetti di Piazza Canelli, proprio davanti all'ex impianto Esso. C'è una fontanella, facciamo pausa pranzo, tutti distesi sul prato. E sono già le 14:00!

Durante la pausa pranzo ci consultiamo e si decide di cambiar strada. Abbiamo almeno due ore di ritardo e non è il caso di scherzarci su. Il percorso prevede due saliscendi interminabili, mi dicono che quello di San Giuliano si percorre a piedi sia in discesa che in salita. Chiediamo informazioni ad Oreste e si decide di prendere il percorso più breve, quello sulla SS17 verso Campobasso, passando per San Marco la Catola.

Il gruppo riparte, io invece mi separo dal resto del gruppo. Con “Luigi II” alla guida del furgone porta-biciclette, andiamo a Casalvecchio per recuperare Vincenzo, che si è avviato qualche minuto prima per fermarsi un attimo in banca. Lo raggiungiamo e scopriamo che a Casalvecchio quella sera c'è la sagra della birra! Seguono cinque minuti di imprecazioni ad alta voce. Torniamo verso Castelnuovo, poi ci mettiamo sulle tracce del gruppo sulla strada per Pietra Montecorvino, ormai dovrebbero aver quasi scollinato. Io e Vincenzo decidiamo che appena li raggiungiamo, saltiamo sulle bici e iniziamo a pedalare: e così facciamo.

San Marco la Catola
Sarà stato il panino, sarà stata la sosta lunga, sarà stato il fatto di farsi portare per qualche chilometro dal furgone... Non lo so. So soltanto che adesso la musica è cambiata. Quando salgo sopra Juliette mi sento benissimo, ricomincio a pedalare facendo attenzione a non farmi staccare troppo. Stiamo andando ancora in salita, ma non è molto ripida e poi stiamo attraversando un bosco, quindi niente vento né sole. Mi imbatto in Luigi, saliamo assieme con una discreta foga, incrociamo dei ciclisti che ci dicono che tra poco inizia la discesa. Difatti, troviamo il gruppo fermo ad un incrocio.

Ormai tutti i programmi sono saltati. Siamo al Km. 94, sono già trascorse 9 ore. Stiamo andando avanti seguendo le indicazioni di Oreste, che conosce bene la zona. Ci dice che è tutta discesa fino alla statale. Io scambio di nuovo il GPS con Giuseppe, adesso il suo è avvantaggiato perchè ha le City Navigator ed è più utile a lui visto che seguiamo le strade asfaltate. Iniziamo la discesa che ci porterà a San Marco la Catola, prima, ed alla SS17 poi.

Questa discesa è la fine del mondo. L'asfalto in alcuni tratti è avvallato e quindi bisogna fare attenzione, però dopo tanta salita la discesa è davvero meritata. Passiamo in mezzo al bosco, rimango indietro da solo e sento il rumore dei copertoni che artigliano l'asfalto, sembra il ronzio di un grosso insetto. Sento lo scatto della ruota libera. Il vento passa attraverso il casco, sotto la bandana, tra le dita, si infila sotto gli occhiali e scivola sul viso e nel colletto della maglia. Sono Uno con l'Universo. Davvero.

Trovo un paio di persone ferme, uno dei due ha forato. Mi fermo pure io, ne approfitto per scattare qualche foto al paesaggio che, per la velocità e per l'asfalto avvallata, non ho avuto modo di osservare. Qui il bosco è più aperto, si vede tutta la valle e la statale che vogliamo raggiungere. Poi riparto, loro mi seguiranno, io continuo a fotografare ed a fare filmati.

Ci ritroviamo tutti ad un altro incrocio, siamo al Km. 101 e, passaggio nel furgone a parte, questa è la distanza maggiore che ho coperto finora. Non riparto con il gruppo, aspetto le persone che avevano forato, poi qualche altro minuto, per sicurezza, ed infine mi rimetto all'inseguimento, ancora una volta da solo. Questa cosa di restare solo, indietro, inizia a diventare piacevole.

Arrivato a San Marco la Catola trovo un gruppetto fermo, con le borracce in mano. Penso ad una fontanella, mi fermo anch'io, invece c'è un arzillo abitante che ci offre da bere. Si capisce che è veramente contento di aiutarci. Ci riempie le borracce con le bottiglie della minerale, qualcuno gli chiede del caciocavallo e lui non si perde d'animo, ci dice di aspettare un attimo, ma noi non possiamo. Ripartiamo a malincuore. E' il primo che interagisce con noi, finora siamo stati tranquillamente ignorati: Orta Nova, Segezia, Lucera, Castelnuovo... tutti luoghi abitati che abbiamo attraversato, tutta gente indifferente, nessuno s'è preso il disturbo di chiedere chi eravamo e che cosa facevamo. Evidentemente sono abituati a vedere tanti bikers. Beati loro.

Scendiamo ancora, a bomba, verso la statale. In fondo troviamo i furgoni che ci aspettano, percorriamo un tratto di complanare e poi imbocchiamo la SS17. Adesso occorre fare attenzione, viaggiamo in fila indiana sulla corsia di emergenza, ad ogni macchina che arriva l'ultimo della fila grida per avvertire quelli davanti. E' tutta salita fino a Campobasso, non è ripida, però è interminabile. Troviamo i Carabinieri fermi ad un bivio, ci urlano “Da dove veniteeeee....???” mentre passiamo, noi rispondiamo “Orta Novaaaaa” senza fermarci.

Sulla statale, verso Campobasso
Qualcuno sale sul furgone, poi ci si rende conto che il furgone ormai è pieno, deve andare avanti, scaricare passeggeri e biciclette all'albergo e tornare indietro a prendere gli altri, che si fermano in un paio di distributori di benzina. Io proseguo, sono di nuovo in gruppo con Oreste e Babette, ogni tanto ci fermiamo a bere un sorso d'acqua e poi proseguiamo, sempre in fila indiana sulla corsia di emergenza. Oreste riesce a dimenticarsi lo zaino al bar del distributore di benzina, per fortuna una bambina gentile lo trova e lo tiene da parte mentre lui ritorna a prenderlo. Il sole pomeridiano ci prende di lato, ci brucia la pelle e proietta le nostre ombre, lunghe, in mezzo all'asfalto, sotto le ruote delle macchine che passano. E' abbastanza inquietante. Dopo un po' ci infiliamo in una gola ed il sole scompare del tutto. Il vento, per fortuna, non si avverte quasi più.

Babette crolla ad una dozzina di chilometri da Campobasso, si ferma per aspettare il furgone e Oreste le fa compagnia. Io mi ritrovo a proseguire con un biker di Trinitapoli, gli ultimi chilometri sono durissimi però riusciamo ad arrivare, con tanta tanta fatica ed il supporto di un albero di pere a ciglio strada. Non è doping.

Campobasso
Finalmente raggiungiamo l'Hotel San Giorgio. Siamo ultimi, a parte quelli che il furgone sta tornando a prendere, ed è stata una bella sgambata di 145 Km. per 16h 35'. Certo, a parte i 10 Km. che mi sono fatto nel furgone. Però mi sento molto felice. Arrivando a Campobasso, ho trovato Vincenzo ad aspettarci ed ho fatto una foto con Juliette sotto il cartello della località. Mi sembra un ricordo bellissimo, nei prossimi giorni ne vorrei farne altre.

La serata prosegue tranquilla. L'hotel è stupendo, la cena ottima, la compagnia eccellente. Stavolta gli amici pugliesi mi hanno invitato al loro tavolo, accetto volentieri e ne approfitto per conoscerli meglio.

Beppe è senza dubbio il biker più appassionato. Credo che biker sia inappropriato, Beppe è un ciclista a tutto tondo. Ci racconta della sua esperienza con Pietro e Gianni alla Parigi-Brest-Parigi, davvero entusiasmante.

Pietro è un mio concittadino. Mi sembra molto tranquillo, quasi l'opposto del carattere di Beppe così estroverso. Forse è per questo che sono grandi amici.

Vincenzo, oltre ad essere un altro concittadino, è anche il mio compagno di camera. Mi racconta delle loro escursioni nella zona della Diga di Capacciotti ed ad Acquatetta, mi riprometto di fare un'escursione con loro, una di queste volte.

C'è anche Domenico, che è un professionista della mtb, nel senso che fa gare un po' dappertutto e qualcuna addirittura la vince. Ha pure una ciclofficina, ad Andria, di cui io ho già usufruito e che consiglierò a tutti quelli che mi sembrano meritevoli di diventare suoi clienti.

Paolo ormai lo conosco bene. Ci siamo incontrati parecchie volte, durante questo inverno, per organizzare le ricognizioni. Prima, quando ci siamo incontrati al parcheggio, mi ha stupito ancora una volta per il suo grande senso pratico. Abbiamo sempre avuto un problema di incomunicabilità tra i nostri cellulari :-), ma anche lui è un grande appassionato di mtb e antichi tratturi. Mi ha indicato con grande precisione alcuni percorsi, che io ho letteralmente cancellato dall'hard disk del portatile, causa batteria scarica. :-)

La cena si conclude con un gelato al Bar Lupacchioli, in centro. Beppe riesce ad attaccare chiacchiera anche con il proprietario del bar, ma io sono troppo stanco per seguire il discorso. Rientriamo in albergo e corriamo a nanna, domani ci aspetta una giornata pesante. Poi, una volta a letto, scopro che sono talmente stanco da non riuscire a dormire, mi volto e mi rivolto per un po' e finalmente crollo...

Secondo giorno
Il giorno dopo, venerdì 7 agosto, ci ritroviamo tutti davanti all'albergo, di buon mattino, pronti a partire. Se non altro, chi ama questo sport non è un dormiglione.

Juliette ha la ruota davanti un po' sgonfia, quella che ieri ho riparato con la schiuma. Sto per cambiare la camera d'aria, quando Raffaele mi dice che non serve, basta rigonfiarla. E così faccio.

Luigi ha problemi di salute, ed oggi lo vediamo scendere in borghese, ha dato completamente forfait. Poi c'è sempre il problema delle tracce GPS troncate. Giuseppe mi chiede di partire davanti, con lui, almeno finchè non imbocchiamo la strada giusta fuori Campobasso. Mi metto alla ricerca di Tony, lui è senz'altro più allenato di me, lo trovo e ci prepariamo davanti al gruppo.

Partiamo, ma ci fermiamo dopo alcuni chilometri, davanti ai Vigili del Fuoco. Qualcuno ci avverte che dietro c'è un biker che è caduto, lo portano in ospedale: arteria recisa, schizzi di sangue ovunque. Penso all'incidente occorso l'anno scorso, sempre alla partenza da Campobasso. A quanto pare, Campobasso esige un tributo di sangue dal tour bike.

Finalmente partiamo, usciamo dal centro urbano e proseguiamo lungo una provinciale dove incrociamo uno con la mtb che ci urla qualcosa a proposito del percorso interrotto. Panico! Fermo il gruppo e torno indietro per chiedere informazioni, lui fa un sorriso melenso e mi dice di non preoccuparmi perché tanto noi abbiamo le mtb e passiamo ovunque. Vabbe! Più avanti, sosta per far sfilare il traffico che si è formato dietro di noi, poi Giuseppe riconosce all'orizzonte il tratturo.

Me lo indica, ma io non riesco a vederlo. Eppure di tratturi ne ho già visti: il Pescasseroli-Candela, il Celano-Foggia ed anche il Foggia – l'Aquila. So che cosa devo cercare: una fascia di terreno più o meno incolto, molto larga, sui 100 metri. Ma proprio non lo vedo. Vedo una costruzione, sul crinale di una collina, dove c'è un po' di spazio, ma tratturi niente. Andiamo nella direzione che ci indica Giuseppe, ma la traccia ne indica un'altra. E' un'altra incertezza sul percorso che ci costringe ad un dietrofront non molto dignitoso. Sento i commenti divertiti di qualcuno dal gruppo, penso che in fondo errare sia umano. Passa pure uno che pattina in discesa con i rollerblade, anzi sembrano quasi degli sci.

Seguiamo la traccia ed andiamo dritti, giù verso la Fondovalle. E' un percorso tortuoso, pavimentato con il cemento, molto ripido, che ci costringe ad andare piano. Qualcuno protesta, vorrebbe scendere in velocità, ma Giuseppe ha le idee ben chiare in proposito e non si lascia convincere. Cerchiamo di spiegare che c'è di mezzo la sicurezza, ma rimediamo solo un “rompicoglioni” dalla solita voce in mezzo al gruppo, stavolta ci sarebbe davvero da rispondere ma alla fine non vale la pena.

Alla fondovalle, ci raggiunge un'automobile: è il direttore dell'albergo di Campobasso, avevamo dimenticato di ritirare i panini! Un errore che poteva rivelarsi fatale, per qualcuno di noi! :-) Ci ritroviamo ancora una volta a pedalare in fila indiana, sulla corsia di emergenza della statale, questa volta stiamo andando in discesa e quindi non c'è grosso scollamento tra la testa e la coda del gruppo. Il paesaggio è cambiato, siamo nel cuore del Molise e qui c'è molto più verde che spezza il paesaggio coltivato a grano. I camion carichi di pomodoro sfrecciano accanto a noi, che proseguiamo imperterriti fino al bivio di Castropignano. Rocco mi chiede come mai siamo passati sulla statale e non abbiamo fatto invece il tratturo, purtroppo io non so niente di questo tratturo che lui ricorda benissimo. Probabilmente è lo stesso che aveva indicato Giuseppe. Un argomento da approfondire per la prossima edizione.

Castropignano
La salita di Castropignano è breve e ripida, ma questo lo sapevamo. Sono 200m di dislivello in 4 Km di tornanti, fino al paese, poi si prosegue sempre in salita. Ancora una volta, mi urlano di togliere qualche dente al pignone. Scivolo indietro nel gruppo e me ne salgo piano piano, lungo i tornanti di questa bella strada alberata, fino a trovare il cartello della località, dove un'altra foto è d'obbligo.

In paese il gruppo ha fatto sosta alla fontanella d'acqua. Ne approfittiamo per fare rifornimento e prendere un caffè. Sono le 10:20 e mi sembra appropriato. La fontanella non ha una grossa portata, si forma una bella fila e la maggior parte della sosta la sprechiamo così. Si avvicina anche un anziano, che ci chiede informazioni: quanti siete, da dove venite, dove andate.... Un fiorino! :-) Scherzi a parte, ci parla della transumanza ed alla fine ci saluta garbatamente. Attraversando il paese, troviamo qualche altro abitante davanti alla soglia che ci saluta, tante mamme che ci indicano ai bambini, qualcuno c'ha pure la bicicletta. Spero di vederlo partecipare, tra qualche edizione.

La salita, adesso, è ancora più ripida. Ci sono altri 7 Km. di salita, 250 metri di dislivello da superare. Saliamo piano, siamo tutti in gruppo. Quando la strada diventa meno ripida, ritroviamo i segnali turistici del tratturo Lucera – Castel di Sangro.

Sul tratturo Lucera-Castel di Sangro
Lasciamo finalmente la strada asfaltata e proseguiamo sullo sterrato, proprio lì accanto. E' un bel saliscendi, non molto impegnativo, che costeggia la strada asfaltata e anzi la taglia diverse volte. Si capisce che una parte del tratturo è diventato una provinciale. Il gruppo si allunga, e sale zigzagando sulla collina, sembra un serpente variopinto, io sono ovviamente nelle retroguardie ed è uno spettacolo bellissimo. Siamo proprio sulla sede dell'antico tratturo, che in questo tratto è diventato l'aia di una fattoria; noi la attraversiamo, tra balle di fieno e puzza di animali che fanno molta “transumanza”. Ci sono tanti attrezzi agricoli, tra cui una vecchia trebbia rossa sistemata strategicamente sulla collina, a dominare l'orizzonte. Ne approfittiamo per fare una foto ricordo. Sullo sfondo si intravede un centro abitato, dovrebbe essere Torella del Sannio.

Dico “dovrebbe” perchè io da qualche chilometro non c'ho più il GPS. L'ho dato a Giuseppe ed ora sono “cieco”, è una sensazione molto sgradevole e devo dire che non so regolarmi né sulla mia velocità, né sui Km. percorsi, che potrebbero essere due o venti, ormai non fa differenza. Ecco che cosa succede ad affidarsi troppo all'elettronica! Promemoria per il prossimo tour bike: stampare la mappa del percorso! Se non altro, lo sterrato ha ricompattato il gruppo e procediamo tutti assieme, verso il paese.

Non lo attraversiamo, lo sfioriamo soltanto, su una stradina che via via diventa più importante, poi torniamo sullo sterrato. E' un bellissimo tracciato, siamo sempre sulla sede del tratturo Lucera-Castel di Sangro, ma qui la natura si è riappropriata del suo spazio: la vegetazione ha ricoperto il tratturo, lasciando libera soltanto una stradina bianca che stiamo percorrendo. Siamo in leggera discesa, attraversiamo un gruppo di alberi abbassandoci sul manubrio, con i rami che ci sfiorano il casco. Mi domando come farà il fuoristrada a superare questo tratto. Vabbé, se ha bisogno ci chiama e lo spingiamo noi :-)

Duronia
Alle 12:00 siamo in vista di Duronia. Riconosco subito l'inconfondibile tetto a punta della sua chiesa, un vero pugno nell'occhio, nel profilo di questo tipico paesino molisano. All'ingresso del paese, scatta la foto d'obbligo sotto il cartello che recita “Duronia: antica città sannita”; ed in effetti, poco fa abbiamo superato dei segnali turistici che indicavano la presenza di “mura ciclopiche”. Peccato, un waypoint perso, almeno per questa volta.

Facciamo sosta nientedimeno che all'impianto di carburante del paese, che io conosco bene per i lavori eseguiti alcuni anni fa. Mi viene da ridere quando ripenso alle chiacchierate con il nostro oste, al ristorante “Il giardino dei Gelsi” qui a Duronia: ci raccontava che gli affari andavano bene grazie anche ai turisti che passavano qui in bicicletta; ed io che pensavo “ma chi caspita ci viene, qua, in bicicletta?”. Beh, adesso credo di aver capito.

La fontanella lì accanto è fresca e ci permette di fare rifornimento. Siamo nelle ore più calde della giornata, mi riempio la borraccia e sto per riempire anche la camelbak, poi ci ripenso e lascio perdere, inutile appesantirsi se ogni 20Km. troviamo una fontanella. Errore. Errore da dilettante. Più tardi me ne sarei pentito amaramente.

Il gruppo si avvia, io mi attardo qualche istante a salutare un bambino che ci sta guardando incuriosito. Mi piacerebbe avere qualcosa da regalargli, una spilla o un adesivo, ma non ho portato niente. Altro errore da dilettante, prendere nota per la prossima edizione. Poi penso a casa, alla famiglia, mi piacerebbe tantissimo incontrarli lungo il percorso oppure all'arrivo. Prendo il telefonino per sentirli, e mi accorgo che qualcuno ha cercato insistentemente di chiamarmi, alla fine mi ha mandato un SMS: è di mia moglie, mi scrive “Tua figlia cammina da sola”. Io me ne sono accorto mezz'ora dopo. Mi prende una grande malinconia, guardo Juliette, poi mi avvio piano piano lungo la discesa e penso che forse pure questo è amore.

Verso Civitanova del Sannio
La strada parte dall'impianto di carburanti e scende a piombo. Vado piano, ho visto altre biciclette appoggiate alla ringhiera mentre partivo e voglio aspettarli. Sono sotto le case del paese, sento una campana che batte i rintocchi ed alzo gli occhi: le nuvole si stagliano candide nel cielo blu turchino. Proseguo piano fino ad un incrocio, dove mi fermo e aspetto. Non so da che parte andare, la strada si biforca e vanno tutte e due in discesa. Guardo il paesaggio, qui c'è molto verde, i campi coltivati sono pochi. Mi sembra di riconoscere una fascia di terreno incolto che sale sulla collina di fronte, oltre la vallata, a sinistra: quello dovrebbe essere il tratturo. Arrivano gli altri e proseguiamo in quella direzione, su una discesa molto ripida e piena di tornanti che sfiorano alcune abitazioni, poi sul fondovalle ritroviamo il gruppo fermo ad aspettarci.

Inizia un'altra salita, questa volta sono senza GPS e non so immaginarmi a quanto sto andando, né quanto tempo ci vuole. Dal profilo stampato vedo che è una salita lunga, leggo il dislivello e vedo che si attraversa Civitanova del Sannio; mi auguro che Giuseppe scelga di fare tappa in paese, per spezzarla in due. Purtroppo non avviene, attraversiamo il paese senza fermarci e senza fare rifornimento d'acqua. C'è parecchia gente seduta sulla soglia di casa che ci saluta, mentre passiamo: ancora bambini, tanti bambini incuriositi.

Il gruppo ormai si è sfilacciato, io sono come al solito nelle ultime posizioni ma mi rincuora il fatto di pedalare con il gruppo di Oreste, che continua a chiamare “TAVOLO QUATTROOOoooooo.....!” per dare la carica ai suoi commensali. Il suo continuo parlare riesce a sopraffare anche la voce del mio medico, che continua a rimbombarmi nel cervello, ma che ormai non ascolto più, solo di tanto in tanto mi sembra di sentire: “.... moderazione...” ma io me ne infischio. C'è pure Babette, saliamo tutti assieme tra qualche incoraggiamento e parecchie bugie: siamo arrivati, è l'ultimo tornante, ormai manca poco, tanto adesso scolliniamo... Finisce che Babette non ci crede più e sale sul furgone, ora sono davvero indietro ed i furgoni mi tallonano rumorosamente. Qualcuno si aggrappa, io proseguo caparbiamente perché so che se mi aggrappo è “la fine”. Decido che oggi voglio dare a me stesso una prova di carattere e così mi arrampico sui tornanti, piano piano, con un po' di coraggio e un po' di presunzione. Ho le ginocchia che iniziano a fare male. Il sole è velato, ma fa molto caldo e sento il sudore che mi cola dalla bandana. C'è un altro partecipante, anche lui procede lentamente; mi metto alla sua ruota e saliamo assieme, con enorme fatica.

Ci rincuora soltanto il fatto di vedere ormai la cima, ed una specie di casa cantoniera sulla sella, dove sicuramente il gruppo si sarà fermato, per la sosta tecnica n. 3. Incrociamo anche una vecchia Vespa, carica di bagagli, sono due ragazzi che stanno facendo una zingarata. Alla cantoniera la brutta sorpresa: il gruppo non c'è, ha proseguito verso Pescolanciano e forse la tappa si farà lì. Mormoro una mezza bestemmia, e ci lanciamo all'inseguimento in discesa.

Troviamo un incrocio, chiamo Luigi con il telefonino e mi indica di andare in direzione di Chiauci, poi all'incrocio successivo c'è un biker che sta aspettando i ritardatari per indicare la strada. Arriviamo finalmente a Pescolanciano, qualcuno ci grida dalle mura del castello “Siete gli ultimi!” ma questo già lo sapevamo. Ora comprendo il motivo della mancata sosta alla cantoniera: qui c'è una bella fontana d'acqua, freschissima e molto caratteristica, proprio sul tratturo. C'è pure una data: 1898/1998. Qualcuno ha messo delle spighe di grano in una specie di portavaso, sotto l'iscrizione, chissà se significa qualcosa. Sosta pranzo sul prato e panini a volontà. Sono le 14:30.

Il tratturo, a Pescolanciano
Il tratturo, qui, è stato conservato perfettamente. E' uno spettacolo da ammirare. Si vede salire, all'orizzonte, è un prato ben definito che si avventura tra le colline boschive. C'è un anziano del posto che si avvicina, e ci parla del tratturo, della transumanza, degli ultimi pastori passati negli anni '80, della volontà dell'Amministrazione comunale di preservare il tratturo facendogli manutenzione. Dall'altro lato della strada, i giovani di Pescolanciano ci guardano indifferenti, sulle loro auto parcheggiate, con lo stereo a palla. Quando gli anziani saranno scomparsi, chissà se questo tratturo interesserà ancora a qualcuno...

Alle 15:00 ripartiamo verso San Pietro Avellana. Ci arrampichiamo lungo il tratturo, quello che ho fotografato dal paese, e che una volta scollinati inizia piano piano ad essere invaso dalla vegetazione spontanea. Il fondo è di terra battuta, troviamo una pozzanghera che occupa tutta la strada e ci dovremmo passare proprio in mezzo. Io, il solito incosciente, azzardo il guado, ma gli altri preferiscono aggirarla. Subito dopo il tratturo diventa una pietraia: l'acqua ha scavato profondi solchi nella strada, portandosi via tutta la terra e lasciando solo pietre. Facciamo buona parte della discesa a piedi, qualcuno si carica la mtb sulle spalle, un altro la solleva sulla testa e scende così, tra gli applausi e l'ammirazione del gruppo che aspetta, poco lontano.

Aspetto che arrivino gli ultimi e ne approfitto per fare qualche filmato. Ci sono i due ragazzi di Andria, Francesco e Grazia, che arrivano con la bici sotto braccio ed una faccia nera nera. Loro due sono stradisti e questa cosa di dover scendere a spingere non è una prassi comune...

Guadiamo anche il rigagnolo che ho visto nei filmati delle passate edizioni, io e Juliette lo superiamo pedalando ma non c'è nessuno che immortala l'evento. Peccato.

Verso San Pietro Avellana
La salita che segue non è migliore della discesa appena terminata. Ancora fondo strada impraticabile, la maggior parte riesce a pedalare ma alcuni salgono a spinta. Ho il privilegio di essere tra gli ultimi e faccio un'altra bella foto per documentare il momento.

Superata la salita, torniamo su una specie di altopiano con piccoli dislivelli e fondo più compatto. Questo è ancora il tratturo, anche qui ormai invaso dalla vegetazione, però si pedala piacevolmente tra due boschi di conifere che ci accompagnano lungo il percorso. Andiamo per un po' su questo saliscendi, raggiungiamo una fattoria dove ci fermiamo qualche istante per ricompattarci. Un partecipante si avventura nell'aia, ma viene messo in fuga dal latrare dei cani. Un altro avverte che nell'erba potrebbero esserci delle zecche, a causa della presenza degli animali. Io faccio tesoro di questo avvertimento ed evito di sedermi. Un pastore che incrociamo poco dopo ci saluta, forse abita in quella fattoria che abbiamo appena superato. Sta sorvegliando alcune capre, ha dei cani che però ci ignorano. Noi ci fermiamo a scambiare due parole e scopriamo che qualche mese prima sono passati altri bikers, erano in quattro ed hanno pure perso un cane che ora vive lì.

Ci allunghiamo ancora un po', il gruppo è davvero eterogeneo: ci sono persone che pedalano senza mostrare segni di stanchezza, altri come me che sono perennemente in ritardo. Io ho i crampi, mi fermo per riprendere fiato e mi scolo l'ultimo fondo di borraccia. Adesso sono nei guai! In questo tratto i furgoni non possono seguirci, anche il fuoristrada non si vede più da un pezzo. Stramaledico mentalmente la mia pigrizia, dovevo riempire la camelbak a Duronia e non l'ho fatto. Mai più!

La sete

Avere sete è una cosa atipica: parlo della sete vera, non di quella che ti viene sulla spiaggia e che dura cinque minuti, giusto il tempo di arrivare al bar del lido. Restare senz'acqua in mezzo ai monti, isolato, senza conoscere il territorio e senza sapere tra quanti chilometri incontrerai un'altra fontanella, è davvero una sensazione orribile. Tanto più che quelle due dita d'acqua, che finora mi ero conservato nella borraccia, mi davano un sostegno psicologico: mi cullavo pensando che tanto, se mi fosse venuta davvero sete, potevo scolarmi la borraccia. Adesso che me la sono bevuta, l'effetto psicologico è opposto: penso sempre alla stessa cosa. Per fortuna ci sono i crampi a distrarmi un po'.

Arriva il solito Raffaele, mi trova fermo a massaggiarmi i quadricipiti, gli spiego dei crampi e mi lamento a voce alta della mia stupidità per essere rimasto senz'acqua. Raffaele non mi fa nemmeno finire di parlare, prende la sua borraccia e la svuota tutta dentro la mia. Sono senza parole. Non che mi abbia sorpreso il gesto, solo che pensavo mi avrebbe dato un pò della sua acqua, non tutta. Ma ormai un po' lo conosco e penso di aver capito che tipo è: Raffaele, oltre ad essere un vero appassionato, ha un carattere schivo ma preciso. Questo sport gli piace, lo entusiasma, ci mette tanto impegno e pretende lo stesso impegno da tutti gli altri. Se qualcuno lo pratica in maniera superficiale, o approssimativa, Raffaele si ritiene offeso. Una volta Luigi mi ha detto che se io sono l'esperto dei GPS, Raffaele è quello della mtb: e Luigi lo conosce senza dubbio meglio di me.

Relax sul tratturo
Ad un certo punto il sentiero si biforca, trovo alcuni partecipanti fermi perchè non sanno da che parte andare. Poi, poco più avanti, troviamo Giuseppe fermo con la catena spezzata. E' la prima volta che vedo una catena spezzata, ne sento parlare da quando siamo partiti ma non sapevo che fosse così frequente vederne una. Soprattutto, non avrei mai immaginato che anch'io avrei sperimentato questo inconveniente.

Raffaele ed un altro biker si prodigano, come sempre, per riparare la catena. Qualcuno chiede insistentemente a Giuseppe se ha sbagliato a cambiare, ma Giuseppe nega, fieramente. C'è pure Rocco, ne approfitto per scambiare qualche parola con lui: mi sembra un ragazzo educato e molto tranquillo, buon sangue non mente! Siamo in parecchi, qui, fermi ad aspettare il nostro capogita, e ne approfittiamo per ammirare il paesaggio e recuperare il fiato. Il panorama è spettacolare, ci troviamo sulla sommità di una collina ed abbiamo una bella prospettiva, alcuni ne approfittano per un pò di meritato relax. Le operazioni durano parecchi minuti, passa pure un trattore con diversi cani al seguito, ma ci ignorano completamente.

Ripartiamo, ed ancora una volta il fondo del sentiero cambia. Siamo di nuovo sulle pietre, in leggera discesa, le ruote scarrocciano e quindi si scende piano ma si sobbalza parecchio. Una bella prova per Juliette. Il tratturo ormai è scomparso, rimane soltanto una stradina bianca, soffocata dalla vegetazione. Però c'è un po' d'ombra in questo pomeriggio d'estate, nei tratti più aperti il sole mi ha arroventato la pelle e sento molto fastidio al collo. Da buon dilettante, ho pure scordato a casa una protezione per la pelle; da prenderne nota per il prossimo tour bike.

Passaggio nel bosco
La vegetazione diventa sempre più alta, diventa praticamente un bosco di latifoglie, che attraversiamo in leggera discesa su un bel fondo compatto. Questo tratto, da solo, vale l'intero tour bike! Il sole filtra attraverso le foglie e stampa luci ed ombre sul tratturo, a macchia di leopardo. Occorre fare attenzione a qualche ramo basso ed alle pozzanghere, difatti c'è pure uno che cade, ma in fondo siamo tutti appassionati di mtb e questo percorso non può che fare piacere.

Usciamo dal bosco in un pascolo che profuma di origano, l'odore è fortissimo e dopo tanti chilometri di sudore e polvere ci regala una sensazione straordinaria. Poco distante c'è una casa sul ciglio della strada asfaltata. Ci fermiamo tutti ed una signora inizia silenziosamente a rifornirci di acqua. Non dice una sola parola, parliamo soltanto noi per ringraziarla. Si affaccia sulla soglia, prende le nostre borracce e sparisce per tornare poco dopo con le borracce piene. Un angelo! Vincenzo suggerisce di fare qualche foto per metterla sul sito, ma la mia digitale ha iniziato a dare i numeri e non riesco più ad accenderla.

Nel frattempo il gruppo si divide. Giuseppe guida i più preparati sullo sterrato, attraverseranno la riserva integrale MAB di San Pietro Avellana, mentre Raffaele si sacrifica per noi “stanchi” prendendo la strada asfaltata che ci porterà al punto di ristoro della riserva MAB. Partiamo dietro a Raffaele, e mi accorgo che siamo più di quanti immaginassi, direi che la maggior parte ha scelto di fare l'asfalto e posso capire le ragioni. Andiamo prima in salita, poi scendiamo e ci raggruppiamo ad un incrocio. Riesco a fare l'ultima foto della giornata, prima che la digitale si spenga definitivamente. Un segnale stradale indica San Pietro Avellana a 12 Km, poi Castel di Sangro.

Ripartiamo sempre sull'asfalto, arriviamo alla Riserva Integrale MAB. Per me sarà solo un chiosco davanti ad un parcheggio. Il tempo di prendere un caffè ed arriva il gruppo di Giuseppe, chiassosi come non mai, sembrano quasi dei Sioux (con tutto il rispetto). Hanno un sorriso a 32 denti. Ci raccontano del loro percorso, che dicono essere stato fenomenale. Provo un senso di invidia, persino Juliette mi parla, mi dice che sono stato un idiota ad aver rinunciato. Io però sono stanco e non vedo l'ora di arrivare.

San Pietro Avellana
Mentre sto facendo rifornimento d'acqua il gruppo “asfalto” riparte, direzione San Pietro Avellana. Io mi sono attardato come sempre e così li perdo di vista, non c'ho nemmeno il GPS: inizio a seguire i segnali stradali che indicano San Pietro Avellana e Castel di Sangro. Faccio un tratto in salita che mi porterà ad arrivare, solitario, a San Pietro, dove passo in una piazza piena di gente: sono le 18:00 e sembra l'ora dello struscio. C'è un po' di verde sulla destra, tra le case, sembra un parco giochi, ci sono tanti bambini. Una mamma mi indica al suo piccolino e dice: “Guarda, passano i ciclisti!”. Io le vorrei rispondere che non sono un ciclista, tutt'al più sarei un biker, ma il bambino mi fa un ciao tenerissimo, con la manina, e all'improvviso sento che è una puntualizzazione inutile.

C'è un bivio, e nessun cartello stradale che indichi Castel di Sangro. Appena rallento per fermarmi a chiedere, due anziane signore alzano il braccio e mi urlano “Di là, di là”, sorridendo per il mio stupore. Ringrazio e proseguo, con la discesa prendo un po' di velocità e ritrovo una vecchia conoscenza: il mio compagno di ruota nella salita verso Pescolanciano. Proseguiamo assieme fino a Castel di Sangro, che incontriamo dopo un po' di falsopiano. Mi ero preparato la macchina fotografica per un'altra foto trionfale sotto il segnale della località, ma stavolta non c'era oppure io non l'ho visto.

Così, alle 19:00 circa, entriamo alla spicciolata in Castel di Sangro, incerti sulla strada da seguire.

L'arrivo a Castel di Sangro
Facciamo quella che sembra la strada principale, sul pavé, tra gli sguardi incuriositi di automobilisti e passanti. Chiediamo informazioni un paio di volte, ci indicano la strada. C'è pure uno che vuole fare lo spiritoso, mi dice che mancano altri 10 km per arrivare all'albergo, ma poi si deve essere accorto che stavo diventando pallido e si corregge subito: 100 metri, vicino alle piscine. Difatti, dopo pochi minuti entriamo nel parcheggio dell'albergo.

Il GPS oggi non l'ho utilizzato e quindi non so quanta strada ho fatto. Chiedo ai miei compagni di viaggio, e mi dicono 105 Km in circa 12h. Dalle tracce registrate da Giuseppe, che ha fatto un percorso leggermente diverso, ho letto 100Km e posso ritenere che l'indicazione dei miei compagni sia verosimile.

Finalmente doccia. Ho un male cane alle ginocchia, il collo mi brucia e non riesco ad toccarlo per asciugarmi. Adesso siamo in cinque nella stessa stanza, e non è molto agevole muoversi oppure usare il bagno. Incontro Fabio, che ci mostra i suoi bellissimi filmati registrati con la sua telecamera montata sotto il sellino. E' un'idea geniale, proverò anch'io a fare lo stesso. Poi c'è Vincenzo, che ha già diviso la camera con me a Campobasso, e infine Paolo. Più tardi si aggiungerà il quinto componente, un biker di Trasacco del quale mi sfugge il nome.

Arriva l'atteso momento di andare a cena, è la stessa allegra comitiva di ieri sera. Stavolta il discorso lo monopolizzo praticamente io, mi fanno una domanda sul GPS e parto a tutta velocità. Si parla del ricevitore che sarà sorteggiato stasera o domani mattina, e che uno scherzo del destino assegnerà proprio ad uno dei miei commensali. Poi si parla ancora della Parigi-Brest-Parigi e di quante comodità avrebbe voluto portarsi dietro Pietro: mentre ne parla, Beppe è tra il divertito e l'incazzato.

Dopo cena, passeggiatina per sgranchire le gambe. Incontriamo due ragazzini della scuola calcio, sono alloggiati anche loro nel nostro albergo e stanno rientrando: ci dicono che loro saranno “perquisiti” dal mister, ci chiedono se possiamo portargli in camera una busta della spesa contenente.... Fumo? Anfetamine? Riviste porno? No, niente di tutto questo, qualcosa di molto più grave: due buste di patatine fritte. Incredibile! Siamo diventati i pusher della patatina, neanche Rocco Siffredi ha mai fatto tanto! :-) In questo tour bike succede veramente di tutto! :-)

Giusto il tempo di recapitare il nostro pacchetto, poi si va in camera. Paolo mi ha sentito lamentarmi per il collo ed mi ha rimediato un po' di pomata, non so come avrei fatto senza. Una carrellata veloce sulle foto della giornata, appena scaricate nel notebook, e andiamo a nanna.

Terza ed ultima tappa
All'indomani, come sempre, sveglia alle 06:30. Colazione alle 07:00 (e mi raccomando, non prima, sennò la receptionist si incazza) :-( e partenza alle ore 08:00 dopo la foto di rito e l'estrazione del GPS. Lo vince uno dei miei commensali, di cui non ricordo il nome, e ne sono felice perché è giovane e deve fare ancora tanta strada. Poi partiamo. Oggi abbiamo indossato tutti la maglia del tour bike e sembriamo tanti cloni, diventa difficile distinguere le persone.

Dobbiamo percorrere prima la SS17 fino al passaggio a livello, poi la provinciale che attraversa Alfedena e ci porterà fino a Barrea. Il percorso lo conosco, l'ho fatto tante volte in macchina, e in più ho recuperato il mio caro GPS. Andiamo di lena, arriviamo ad Alfedena in men che non si dica ed iniziamo a scalare il passo verso Barrea. Qui il gruppo si sfalda, come al solito, ma ormai non c'è problema, sono abituato e poi oggi le gambe sembrano girano benino. Il panorama alla nostra destra è divino, siamo sull'abitato di Alfedena e sembra quasi di sorvolarlo; mentre, davanti a noi, l'asfalto si arrampica tra le rocce grigiastre, verso il cielo turchino nel quale compaiono ciuffi di nubi candide. Noi ci arrampichiamo sui tornanti, facendo attenzione al traffico che ormai ci segue da un pezzo e che ogni tanto lasciamo sfilare. Passa pure Cesare, di potenza, in salita: gli urlo che è un grande, lui mi risponde con orgoglio che questa è casa sua. Tutto vero.

Benvenuti nel Parco Nazionale
Arrivo piano piano su, al cippo di pietra che segnala l'ingresso nel parco nazionale, e ne approfitto assieme a qualcun altro per spezzare la salita e fare una foto ricordo. Purtroppo la mia fotocamera è morta, devo chiedere ad un partecipante di scattarmi una foto che spero di recuperare, un giorno o l'altro. Poi si prosegue per un altro breve tratto di salita, fino alla sella e da qui ci appaiono Barrea ed il suo lago, oltre al monte Marsicano ed al monte Petroso, per chi li conosce. Iniziamo a prendere velocità verso il paese e in pochi istanti raggiungiamo il belvedere sul lago, dove facciamo tappa.

Ci sono alcuni turisti che partono per un trekking, l'orario non mi sembra appropriato ma in fondo anch'io sono uno sportivo della domenica. Noi ripartiamo subito, sembriamo aver tutti fretta di arrivare. Vuoi per la fretta, vuoi per la discesa (e la velocità) saltiamo l'incrocio che ci avrebbe portato sullo sterrato lungo la riva sinistra del lago, fino a Civitella Alfedena, e quando ce ne rendiamo conto siamo già sulla diga, ed è meglio proseguire. Penso che sia un vero peccato, è un percorso che ho fatto a piedi qualche tempo fa ed il fondo mi sembra ideale per pedalare. L'asfalto della statale, invece, scorre veloce, siamo in piano ed in breve raggiungiamo il bivio per Civitella dove riceviamo assistenza anche dai Carabinieri per imboccare il lungo viadotto sul lago. E' un tratto imprevisto, questo, ma molto suggestivo: diciamo che tra lo sterrato in riva al lago ed il ponte asfaltato avrei scelto un ponte sterrato, ma capisco che non si può avere tutto dalla vita.

Dopo esserci ricompattati ancora una volta, ed aver scambiato due chiacchiere con alcuni escursionisti di Barletta (che Beppe prontamente va a intercettare e scopre pure di conoscere), ci avviamo lungo i tornanti che ci condurranno a Civitella Alfedena. La traccia sul GPS indica uno sterrato che sale lungo la linea di massima pendenza, in effetti c'è un sentiero che sale tagliando tutti i tornanti. Faccio la salita tutta d'un fiato, ormai mi sono impratichito ed ho fatto tesoro dei suggerimenti che un po' tutti mi hanno dato, in particolare Oreste: rapporto agevole, pedalata rotonda, velocità tranquilla e soprattutto saper bilanciare le proprie energie. Il problema per ora sembra essere la mia eccessiva lentezza, vengo sistematicamente staccato dal gruppo, ma in fondo non mi dispiace.

Civitella Alfedena
A Civitella ci fermiamo un attimo nella piazza, ad una fontanella che ha un bassorilievo con un orso e che a me sembra molto fuori luogo nel centro storico di questo tipico paesino. Memore dei problemi di approvvigionamento idrico del giorno precedente, mi riempio d'acqua anche la camelbak, a titolo precauzionale. Raffaele chiede se voglio seguire il percorso asfaltato o quello sterrato, io qui mi sento “di casa” e certo non mi voglio perdere il passaggio alla Camosciara, così opto per lo sterrato con una certa sorpresa da parte di Raffaele.

Ci incamminiamo lungo il sentiero G4. Buona parte della salita me la faccio a spinta assieme a qualcun altro. Sono alla fine del gruppo, come sempre, ma oggi ho il piacere di pedalare con Beppe e Vincenzo, oltre che a Luigi, il quale chiude il gruppo. Pedalare è un modo di dire: andiamo per lo più a spinta, anche nei tratti pianeggianti o in leggera discesa. Il percorso è molto bello, eccezionale per un trekker o per un biker appassionato di AM, io mi diletto indegnamente in un'altra specialità, l'XC, e faccio fatica a rimanere in sella su questo single track pieno di pietre. Questo non significa che il percorso non sia stupendo. La fotocamera risorge, ne approfitto per fare qualche altra foto. Il sentiero ci porta a guadare alcuni ruscelli, passiamo con la bici a tracolla su tavole di legno e rami, ma va bene così: qualche volta si pedala, qualche volta si spinge, qualche volta si porta la bici in spalla: questa è la mountain bike. Amen!

Quando raggiungiamo l'asfalto, troviamo il gruppo che ci ha preceduto sullo sterrato, ci stavano aspettando impazienti. Sull'asfalto c'è abbastanza movimento, sono i turisti che salgono al piazzale della Camosciara: principalmente gente a piedi, o sul calesse, ma c'è pure qualcuno che va a cavallo. Addirittura troviamo dei ragazzini in mtb, quasi certamente noleggiata al parcheggio: salgono e scendono sulla strada asfaltata. Durante la discesa c'è un partecipante che finisce nei rovi, è il mio compagno di viaggio del primo giorno, dell'arrivo a Campobasso: si è ferito al viso, chiamiamo l'ambulanza ma ci siamo fermati in troppi e abbiamo bloccato il passaggio anche del calesse. I cavalli sembrano spaventati, io mi avvio lungo la discesa e spero che qualcuno mi segua, ma non avviene.

Arrivo al cancello della Camosciara, dove trovo un altro gruppetto fermo ad aspettare e così mi fermo anch'io. Facciamo la solita foto di rito, mentre passa un gruppo di ragazzini che vanno verso il parcheggio: ce ne sono paio in mtb che, mentre pedalano, trasportano una terza mtb nel mezzo. Tre bici per due ragazzini, quasi un record. Sento un rimprovero ad alta voce da parte di uno dei nostri, anzi più che un rimprovero siamo al limite della minaccia di violenza fisica; poi qualcun altro si associa, con il consenso di tutti i presenti: la sicurezza, innanzitutto.

Poi mi rendo conto che in questo gruppo mancano ancora tante persone. Non vedo Raffaele e nemmeno Paolo, capisco che c'è qualcosa che non va e proseguo in direzione del parcheggio dove finalmente incontro gli “asfaltisti” che ci aspettavano. Raffaele sembra meravigliato di vedermi arrivare, forse stavolta sono arrivato per primo anziché ultimo e questa cosa mi mette quasi a disagio. Mi affretto a precisare che c'è stato un infortunio e che ci sono almeno due gruppi che aspettano lungo il percorso. Raffaele sembra contrariato. Prova a chiamare via radio, per chiedere di scendere al parcheggio, ma non gli risponde nessuno. Io mi offro eroicamente di risalire per andare a chiamarli, e parto di corsa, in salita: sto giusto pensando che ho fatto una cagata! :-) quando scorgo il gruppo arrivare. Meno male, una faticaccia risparmiata.

Verso Opi

Ripartiamo tutti assieme in direzione di Opi, seguendo la provinciale. Dobbiamo restare in fila indiana, c'è traffico e noi siamo solo uno stupido inconveniente per gli automobilisti che cercano in tutti i modi di superarci. Si cammina di buona lena, la strada qui è un falso piano, leggermente in salita, un bel tratto alberato accanto al torrente che scavalchiamo diverse volte. Durante il tragitto qualcuno si ferma a fare rifornimento d'acqua ad una fontanella, ma ormai siamo sotto Opi e si avvicina l'ora di pranzo, abbiamo tutti fretta di arrivare a Pescasseroli, dove faremo tappa.

Ad Opi ci fermiamo nello slargo, proprio all'incrocio. Opi ci sovrasta. A me è sempre piaciuto questo paesello aggrappato al suo spuntone di roccia, che domina la valle. Ogni volta che ci passo mi stupisce la caparbietà dei suoi antichi costruttori, non capisco per quale motivo abbiamo costruito le proprie case in un punto tanto inaccessibile, quando avrebbero potuto invece popolare facilmente la valle sottostante, tanto piacevole. Forse per difendersi dai briganti, o dai lupi, chissà! E poi, ogni volta che rivedo Opi, mi tornano in mente tanti ricordi: mio padre, le nostre vacanze.

Passiamo accanto ad una fontana, poi imbocchiamo il prato che ci porterà a Pescasseroli. Io mi fermo per fare rifornimento d'acqua ed il gruppo sfila. E' davvero spettacolare, questo panorama! Siamo nella vallata, il gruppo pedala in fila indiana vivacizzando i colori del paesaggio, mentre attraversa questo pascolo che occupa tutto il fondovalle. La statale, da qui, non si vede, è nascosta dietro gli alberi. All'orizzonte c'è il massiccio Marcolano e si intravede Pescasseroli. Nella direzione opposta Opi ci sorveglia, dall'alto della rocca. E' il posto giusto per scattare una bella foto, ma non riesco: la macchina fotografica fa di nuovo i capricci. Stavolta l'obiettivo rimane incastrato e non rientra nel corpo della fotocamera, non riesco neppure a rimetterla nel borsello. Mi attardo a sostituire le batterie, sperando che il problema sia dovuto a quello, ma inutilmente. Prova e riprova rimango ultimo, anzi ultimissimo, c'è soltanto Luigi che si ferma per aspettarmi e così quest'ultimo tratto lo facciamo assieme, in solitaria.

Il prato
Il prato doveva essere, nel mio programma mentale, il tratto più bello del tour bike. Almeno così me l'ero immaginato, guardando le foto delle edizioni passate. Invece si rivela una brutto affare. Il sentiero è appena accennato, due ferite in mezzo al verde dove ogni tanto passa qualcuno, forse il mandriano. Gli animali al pascolo, principalmente bovini, hanno lasciato le loro orme nel terreno, migliaia di orme, quando era umido; ed adesso che è asciutto è come pedalare sopra una pavé dove mancano tantissimi cubetti. E' un continuo sobbalzo, reso ancora più sgradevole dal nostro inutile tentativo di recuperare il distacco che abbiamo ormai dal gruppo. Mi fa male il collo, mi fanno male i polsi, soprattutto mi fa male il soprasella che ormai c'ha tatuato “Selle Italia”, in negativo. Luigi invece sembra indifferente, parla tranquillo del più e del meno: mi racconta di quando hanno tracciato il percorso, in primavera, e l'erba era altissima; poi mi dice che è sicuro di aver riconosciuto una vacca, è la stessa dell'anno scorso, quella della foto sul sito...

Dopo un po' il prato finisce, era ora perchè ho la schiena spezzata. Abbiamo imboccato una strada bianca che va in direzione di Pescasseroli, dove difatti arriviamo pochi minuti dopo. Il paese è pieno di turisti, sono le 13:00 e c'è tanta gente in giro. Ci fermiamo davanti al Municipio, ai tavolini del bar sono sedute tante persone che ci guardano incuriosite. Il tempo di bere un sorso dalla fontanella ed arrivano i cestini del pranzo, ci accomodiamo nel prato dei giardini pubblici e ci concediamo un po' di relax. Ci sono due musicanti, vestiti da pastori, che suonano la zampogna ed il piffero (non è un modo di dire), che iniziano a gironzolare attorno per chiedere un'offerta. Vengono da Sora e si capisce che qui riescono a racimolare qualcosa.

Sosta a Pescasseroli
Nelle aiuole si sono formati gruppetti di persone, io sono con i miei commensali e si discute del più e del meno. C'è il vincitore della lotteria del GPS che ha deciso di venderlo, io ne sono un po' meravigliato ed un po' deluso, tento di convincerlo a tenerselo, almeno per qualche tempo, finché non trova un acquirente. Intanto, scopro che il panino è terribile. Cioé, non è che non è buono, è asciutto. Io ho una fame da lupo e ne riesco a mangiare uno intero, ma sento che rimane a metà dell'esofago e non va giù. Nemmeno la frutta che ho trovato nel cestino riesce a far passare questa sensazione di soffocamento. Tento di risolvere con un buon caffè, assieme a Paolo, al bar vicino al Municipio, prima di ripartire, ma non serve a niente.

Non bisognerebbe mangiare prima di affrontare una salita, specie se impegnativa e sotto il sole del pomeriggio. Difatti sento che le forze mi stanno abbandonando. Prendere nota, per il prossimo tour bike mantenersi leggeri. Paolo è salito nel furgone, si farà accompagnare fino al Passo del Diavolo dove i mezzi dovranno cambiare percorso, così mi arrampico da solo, piano piano, sulla salita. Sono nelle ultime posizioni, i furgoni mi seguono lentamente e con grande pazienza. Il GPS inizia a dare letteralmente i numeri, prima mi dice che al passo mancano 800m, poi 2km, poi si spegne: penso che dev'essere colpa del caldo, o delle batterie e così le cambio, ma dopo cento metri mi accorgo che si è spento di nuovo. Molto strano, e molto critico: non so quanto manca al passo. Provo a guardare la mappa a curve di livello, per misurare almeno il dislivello, ma ormai il GPS sembra impazzito. Prima la fotocamera, ora il GPS: se fossimo vicini ad un traliccio dell'alta tensione penserei subito ad un campo magnetico, ma qui non ce ne sono, anzi ci sono ma sono insignificanti.

Passo del diavolo
Mi sforzo di osservare il panorama, per capire quanto manchi e per “bilanciare le forze”, come direbbe Oreste. Il passo non si vede, c'è una gola tra due montagne ma non mi sembra di vedere una sella o qualcosa del genere. Le chilometriche della statale non mi dicono nulla, e non c'ho voglia di prendere la mappa del profilo altimetrico dallo zaino. Finisce che il furgone mi si affianca, vedo Paolo che mi guarda preoccupato dal finestrino, e capisco che è arrivato il momento di prendersi una pausa: mi faccio trainare dal furgone per qualche chilometro, cerco di recuperare le energie, poi pedalo per un altro breve tratto e finalmente arriviamo al Passo del Diavolo.

Appena arrivo io il gruppo riparte, sullo sterrato che sale verso Fontanile Cicerana. Qui i furgoni non possono seguirci, faranno il giro della montagna e ci aspetteranno dall'altra parte, praticamente a Villavallelonga. Anche il fuoristrada deve abbandonarci, lo ritroverò in vetta ad aspettarci. Inizia quest'ultima salita, quella che ci porterà al punto più alto del tour bike: 1540m. Lo sterrato ha una pendenza notevole, io lo faccio quasi tutto a spinta con Paolo, che qui ha ricominciato a pedalare. Per la verità non siamo gli unici a spingere, forse siamo quelli che se la prendono più comoda perchè restiamo sistematicamente per ultimi. Incrociamo un fuoristrada, è un pick-up bianco che sembra quello dell'Ente Parco, ma non ci fermiamo. Quando finalmente arriviamo a scollinare, vediamo il gruppo fermo al Fontanile Cicerana, che si sta rimettendo in moto. Io e Paolo non ci fermiamo nemmeno, Raffaele ci suggerisce di proseguire, se non abbiamo bisogno d'acqua.

Dopo la Cicerana c'è un tratto abbastanza pianeggiante, poi inizia una lieve discesa, è uno sterrato che attraversa un pascolo. Le due ferite delle auto sono abbastanza rovinate, c'è pure qualche pozzanghera, così Raffaele mi dice di passare sulla fascia di verde che sta in mezzo, ed effettivamente si riesce a pedalare un po' meglio. Il GPS si spegne ancora una volta, lo riaccendo e mi accorgo che vuole ricalcolare il percorso fino a Passo del Diavolo. Forse il problema è dovuto al routing, annullo tutto e lo resetto, poi si rimette a funzionare e non mi darà altri problemi fino all'arrivo.

Dopo un po' lo sterrato incrocia una strada asfaltata. Mi meraviglio un po', non mi sarei aspettato di trovare asfalto quassù. Si va in discesa, molto ripida ed anche trafficata: prima incrociamo dei ragazzi con uno scooter, si vede che ci aspettavano, poi un fuoristrada che va a spasso. I ragazzi ci urlano “Piega, piega!” mentre affrontiamo le curve, ma non è il caso di esagerare. Quando lasciamo l'asfalto per uno sterrato in direzione di Fonte Licia, rivedo la nostra scorta, il fuoristrada con Vincenzo che sta facendo le riprese. E' un peccato che non abbia potuto seguirci al passaggio della Cicerana, neppure io ho potuto fare foto e spero che a qualcuno sia venuto in mente di documentare questo tratto così suggestivo.

All'imbocco dello sterrato ritrovo ancora una volta il mio amico biker di Trinitapoli, stavolta ha forato. Proviamo a rigonfiare la ruota con la schiuma, ma non tiene e dopo qualche centinaio di metri si sgonfia. E' costretto a dare forfait, carica la bici sul fuoristrada e si fa l'ultimo tratto a bordo. Penso che sia proprio un peccato, anche perchè ho controllato il profilo altimetrico ed ormai di salite impegnative non ce ne sono più. Anche Rocco me l'ha confermato, poco fa: una volta superata Fonte Licia le salite sono finite, rimane soltanto un tratto pieno di saliscendi, dove se prendi bene la rincorsa durante la discesa riesci ad arrivare quasi in cima alla salita successiva.

Fonte Licia, e la caduta
Quando arriviamo a Fonte Licia io ormai sono molto stanco. Ci troviamo in una radura, ai margini del bosco. Stavolta non mi sono fatto staccare dal gruppo, e così approfitto anch'io di qualche minuto di pausa per aspettare il resto dei partecipanti. Bevo e faccio provvista d'acqua, adesso ho imparato a sfruttare sempre queste risorse quando ci sono. A poca distanza vedo delle tende montate, sembra un campo scout, ma non c'è nessuno.

Ripartiamo ancora una volta, sembra che tutti abbiano fretta di arrivare, a parte me. Io ripenso a questo tour bike, alla strada percorsa, e guardo l'orologio. Sono le 17:00 e tra meno di un'ora sarà tutto finito. Non so se devo essere contento oppure no. Tanti mesi di preparativi sono stati “bruciati” in una frenetica pedalata di tre giorni.... Mentre penso queste cose, cado. Una caduta da dilettante, in discesa trovo un po' di ghiaietta e la ruota davanti se ne va per fatti suoi, non faccio in tempo nemmeno a sganciare i pedali. Mi faccio male davvero, ma mi rialzo, non c'è niente di rotto. C'è del sangue che scorre dalle gambe, si sta impastando con la polvere. Ho un bel buco al polpaccio destro ed un doloretto al fianco, che sta aumentando sempre di più. Luigi si ferma, mi dice che in questi casi, se il pantalone non s'è strappato e se le ossa sono intere, allora non è successo niente di grave. Mi viene in mente la massima che ho letto, tempo fa, e che ho già applicato in un paio di occasioni: risali in sella ed inizia a pedalare, prima che il dolore aumenti. E cosi' faccio.

Continuo a pedalare, ma il dolore al fianco destro è forte. Adesso ho male anche al gomito, anzi per dirla tutta c'è poco che non mi faccia male. E' un vero peccato, perchè ci troviamo in mezzo ad un bel bosco con dei saliscendi molto veloci ed altrettanto ripidi. Costeggiamo una condotta interrata, dovrebbe essere un acquedotto. Pedalo come posso, ricordo il consiglio di Rocco ma non riesco a fare le salite, devo scendere e spingere, poi scendo a tutta velocità alla discesa successiva per prendere la rincorsa.

Rottura catena, 1

Mentre mi sto autocommiserando cambio rapporto in salita, sotto sforzo, e la catena di Juliette parte. Non riesco a crederci: ho spezzato una catena che, per quanto usata, doveva fare ancora tanti chilometri. Sono tra il confuso e l'incredulo; in tanti mi avevano avvertito, durante il tour bike, di togliere qualche rapporto e di non cambiare sotto sforzo, ma onestamente non avevo dato molta importanza alla cosa. Per la prima volta, ho paura di non riuscire ad arrivare alla fine del tour bike. Guardo Juliette e mi sembra di averla tradita, anzi malmenata. Non so cosa fare, non ho né gli attrezzi né i ricambi, né tantomeno la conoscenza tecnica o l'esperienza per risolvere questo problema. Mi avvio a piedi, mentre qualcuno sfila chiedendomi che cosa è successo.

Nel frattempo arriva Raffaele e si ferma senza neanche pensarci. Mi chiede che cosa è successo, ed io gli racconto con un po' di imbarazzo di aver cambiato sotto sforzo. Raffaele mi fa presente che me l'avevano detto, ma usa un tono calmo, non è certo il rimprovero che mi sarei aspettato. Prende lo smagliacatena e si mette al lavoro. Dopo qualche istante passano pure Luigi e Paolo, il quale si ferma per prendere una falsa maglia, ma Raffaele gli dice di andare avanti e di non preoccuparsi. Mentre lavora, è stranamente loquace: mi spiega con molta pazienza che devo preparare prima il rapporto, valutando la velocità e la pendenza della salita, e che arrivato alla salita ormai è tardi per cambiare. Mi tornano in mente le parole di mio padre, l'”occhio lungo” sulla strada di cui tante volte ho sentito parlare. Raffaele mormora qualcosa sulla mia catena, dice che è strana, ma non riesco a seguirlo. Nel frattempo ha finito.

Mi ha tolto un paio di maglie e mi spiega che adesso devo fare attenzione a cambiare, e di non usare il pignone più grande oppure la corona più piccola, perchè la catena adesso è più corta e potrebbe scappare. Mentre ripartiamo lo ringrazio e gli chiedo se è stanco, ha l'aria molto affaticata. Mi dice che stare dietro non è per niente semplice, e che deve fare una faticaccia per rientrare nel gruppo tutte le volte che si ferma ad aspettare qualcuno. Mi ricordo che ne aveva già parlato, nel corso della prima serata all'Herdonia, e che io avevo fatto una battuta poco opportuna alla quale era rimasto gelido. In questo momento provo un grande imbarazzo per il mio humor, per le mie cattive qualità di biker, e per non essermi riuscito a guadagnare la stima di questa persona, che ha dimostrato di essere il più generoso tra tutti i partecipanti, sacrificandosi finora in fondo al gruppo pur avendo una preparazione che gli sarebbe valsa la testa del gruppo. Un esempio di altruismo, davvero.

Quando ripartiamo faccio molta attenzione. Seguo il consiglio di Raffaele, mi preparo il rapporto alla fine della discesa ed evito di cambiare in salita, e va bene cosi per cinquecento metri. Dove sono fortunato riesco ad arrivare in cima senza scendere, altrimenti mi tocca spingere. Poi succede il patatrac.

Rottura catena, 2
Cambio corona in fondo alla discesa, la catena non è sotto sforzo quindi sono OK; però, invece di scivolare sul rampichino rimane “incollata” alla corona da 32. Io forzo con i piedi, e la catena parte di nuovo. Questa volta non si spezza, si infila in mezzo alle due corone tra il 22 ed il 32. Raffaele, che mi sta seguendo, si ferma di nuovo per dare un'occhiata, e quando vede che cosa e' successo si spaventa.

Prova a dare degli strattoni alla catena, per tentare di liberarla, ma quella non si muove di un millimetro. La mia bicicletta mi ha voltato le spalle! Sono stato un caprone, altro che principiante, e me lo merito. Raffaele continua a strattonare, mentre io prendo mentalmente atto che ormai dovrò percorrere in macchina quest'ultimo tratto. Sono molto preoccupato per Raffaele, sta tirando pericolosamente la catena con le dita a pochi centimetri dai denti delle corone, un movimento sbagliato gli potrebbe sfregiare le mani ed in questo caso il tour bike sarebbe terminato per entrambi.

La resa
Mi faccio coraggio, e chiedo a Raffaele di proseguire, e di lasciar perdere, che tanto non viene via. Aspetterò il fuoristrada, lui vada pure senza sprecare altro tempo. Lo dico con la tristezza nel cuore, ma è la cosa più giusta da fare. Anche Raffaele sembra rassegnato, è calmo e mantiene il controllo della situazione, ma si capisce che è esausto. Continua a ripetere che non viene via, poi mi dice che dobbiamo sbrigarci perchè viene a piovere. Difatti, io alzo gli occhi e vedo un nuvolone nero come il carbone, che ci sovrasta. Inizia pure a cadere qualche goccia, mentre le mosche ci sbranano. Peggio di così....

Ripercorro mentalmente tutto il percorso di questi tre giorni: le salite, i paesaggi, le persone... Quanta fatica! Tanta fatica, sprecata. Ci tenevamo tanto ad entrare a Villavallelonga assieme, io e Juliette, ma ormai non c'è più niente da fare. Per lo meno, questo è quello che penso io.

Non ho fatto i conti con la caparbietà di Raffaele. Da buon abruzzese (con tutto il rispetto) ha la testa più dura della mia e si vede che non è abituato ad arrendersi. Mi dice di ribaltare la bici, poi inizia a smagliare di nuovo la catena. Io mi sto ancora autocommiserando, e lui ha già spezzato la catena in tre pezzi, adesso tra le due corone sono incastrate solo poche maglie che riesce a sbloccare con le pinze, poi le tira via. Pochi minuti per riassemblare il tutto, e Juliette è di nuovo in grado di camminare!

Si riparte!
Stento a crederci! Vorrei saltare, vorrei gridare, ma sono troppo stanco e ancora un po' preoccupato per i saliscendi che dobbiamo ancora percorrere, così mi limito a ringraziarlo. Raffaele stavolta mi prepara un rapporto agevole, a bici ferma, e si raccomanda di non cambiare più, cosa che io eseguo senza discutere. E cosi, questo ultimo tratto lo farò con Juliette in versione single speed.

Ci avviamo nuovamente, e stavolta speriamo che vada bene. I saliscendi continuano, ad ognuno di essi Raffaele mi dice che è l'ultimo seguendo un copione che avevamo già recitato durante la nostra scalata di Civitanova del Sannio, ieri. Io faccio in sella le discese, riesco a malapena a raggiungere la metà delle salite, poi mi tocca spingere, ma lo faccio volentieri: qualche volta si pedala, qualche volta si spinge. E forse non lo sai, ma pure questo è amore.

Succede che i saliscendi finiscono per davvero, qui siamo a Forca Trivella. Il bosco è sempre molto fitto, non si vede oltre la cortina degli alberi, ma ormai dovremmo aver scollinato nella vallata di Villavallelonga: tutta discesa fino al paese! Tutta discesa, sì, ma che discesa: una pietraia da paura, una mulattiera da percorrere con attenzione. Finisce che riagganciamo pure la coda del gruppo, ci sono Oreste e Babette che scendono a piedi, ma siamo a poche centinaia di metri dal Fontanile delle Querce, dove si sono fermati tutti per l'ultima sosta tecnica prima dell'ingresso in paese.

Villavallelonga
Ormai il tour bike è praticamente concluso. Ultime raccomandazioni di Luigi, prima dell'ingresso al paese: tutti sulle scale per la foto di gruppo. Ripartiamo, e non so se devo essere contento o infelice per questa esperienza che volge al termine. Ho sempre la bici “single speed” e faccio l'ultima salita, tra le case di Villavallelonga, in fondo al gruppo, arrivando praticamente ultimo tra gli sguardi degli abitanti un po' divertiti ed un po' severi. Non posso fare a meno di considerare quanto è beffardo il destino: ero partito alla testa del gruppo, ad Orta Nova, e sono arrivato a Villavallelonga in fondo a tutti. E' proprio vero: gli ultimi saranno i primi, e viceversa.

Ci fermiamo in quella che sembra la piazza principale: c'è il sagrato di una chiesa, poi una fontanella d'acqua gelata e un bel gruppo di persone che ci stavano aspettando. Hanno allestito un buffet che viene preso d'assalto, subito dopo la foto di gruppo sui gradini della chiesa. C'è tanta roba da mangiare: panini, frutta e dolci deliziosi. Tante ragazze gentili che ci porgono la roba da mangiare. Vedo alcuni partecipanti che salutano i parenti festanti, mi commuove la nostra amica di Avezzano, Annalisa: abbraccia un bambino piccolissimo che dev'essere suo figlio.

Avevo tanto sperato di trovare qui, ad aspettarmi, un volto familiare, ma non accade. Del resto, era prevedibile: la famiglia l'ho parcheggiata al mare, gli amici sono tutti in ferie sparsi in giro per il mondo. Mi ero illuso perchè, in questi giorni, mi hanno tempestato di telefonate: dove sei, quanti chilometri devi fare, a che ora arrivi... Mi sembravano domande propedeutiche ad una sorpresa, all'arrivo non mi sarei stupito di veder sbucare la Carrà con un microfono in mano che diceva: "dopo 350 Km, Francesco è qui!"

Ma lasciamo perdere, meglio così, vuol dire che gli ho evitato il rischio di un lungo viaggio in macchina. Mi rimane il piacere di essermi quasi ammazzato per rispondere al telefonino, tante volte, per niente! Ho risposto sempre in maniera molto acrobatica, e per di più nel bel mezzo delle salite più impegnative. A tal proposito ho riflettuto, e sono giunto alla seguente conclusione: il mio cellulare in discesa non prende, forse prende solo in salita.

E poi, tra queste persone, di volti familiari ormai ce ne sono tanti: Luigi, Giuseppe, Raffaele, il sindaco Martorano, poi Oreste, Babette, Paolo, Beppe, Vincenzo, Pietro, Rocco, Luigi II, Vincenzo il cameraman che si mette in posa davanti a me nella foto di gruppo finale (Florinda, confido in te!) e tutti gli altri con cui ho interagito, in questi giorni, e che mi hanno aiutato.

Grazie, a tutti voi.

Il dono
Prima di ripartire vado a cercarli tutti, almeno quelli che rimangono qui o che non saliranno sul pullman organizzato per il rientro, e li saluto. Poi cerco Luigi, devo dargli un regalo che mi porto dietro da 350 Km...

E' un piccolo pensiero, fatto con l'augurio sincero di un po' di pace e un po' di speranza per questi amici così provati dagli ultimi eventi, un regalo simbolico: l'olio santo, che ho preso nel Santuario della Vergine Incoronata, la quale da 1008 anni veglia sui pastori ed i loro discendenti.

Oggi io lo dono al Presidente della Vallelongabike per donarlo, simbolicamente, ai discendenti dei pastori abruzzesi, da parte del discendente di un pastore avellinese. Il quale mi ha sempre parlato con molto rispetto ed ammirazione di questi suoi colleghi, “l'abbruzzise”, che conoscevano quel mestiere almeno quanto lui e ne condividevano rischi e sacrifici.

Epilogo
Sono passati diversi giorni dalla fine del tour bike. Ci ho messo una settimana per scrivere questo post, ed un mese per decidere se lo dovevo pubblicare oppure no.

Ormai l'adrenalina per il tour bike è finita. La prima settimana ho avuto difficoltà a dormire, continuavo a spegnere ed a riaccendere la luce, fissavo il soffitto, poi mi veniva in mente un particolare e aggiornavo la bozza del post.

Qui c'è di tutto: ci sono considerazioni personali, opinioni personali, storie reali con nomi di persone reali. E' tutto vero, è ciò che mi è successo durante il tour bike.

Per un pò ho aspettato anche per vedere se qualcun altro pubblicava il suo "Itineraria", ma finora a parte due righe scritte per autocelebrarsi, non ho trovato niente.

Alla fine, siccome non mi sembra che si sia niente di male ho pubblicato il mio post. Non è pubblicità, e non è autocelebrazione. E' un riepilogo abbastanza fedele di ciò che mi è successo. Forse è prolisso, ma a me piace così. Amen.

Ed ora, qualche riflessione sul tour bike della transumanza.

Prendo in prestito le parole di Pietro: bisogna spiegare ai partecipanti con una buona preparazione fisica, che il tour bike è un'escursione ma non è una gara. Poi bisogna spiegare ai partecipanti che non hanno una adeguata preparazione fisica, che il tour bike è un'escursione ma non è una passeggiata.

Io concordo con questa opinione, e mi permetto di riformularla aggiungendo qualche considerazione personale. La scrivo qui non per dettare le Tavole della Legge, ma come promemoria, per me stesso.

Per iscriversi al tour bike bisogna esserne meritevoli.
Solo chi si è impegnato, nei mesi precedenti, con una dura preparazione dovrebbe iscriversi. Il tour bike non è una cosa per ciclisti della domenica, come me.

Per iscriversi al tour bike bisogna essere determinati.

Ci vuole volonta', ci vuole caparbietà, ci vuole perseveranza. Se non si è convinti, lasciar perdere. Nessuno vi obbliga.

Per iscriversi al tour bike bisogna essere umili.
Non è facile scegliere di restare indietro per aiutare un compagno in difficoltà, non è facile obbedire alle disposizioni del capogita, non è facile adeguarsi ad un'andatura diversa da quella propria.

Per iscriversi al tour bike bisogna saper osservare.
Bisogna saper guardare l'orizzonte, ma non per scegliersi una strada. Bisogna saper leggere il paesaggio, ma non per scoprirne qualche particolare. Occorre la capacità di riuscire ad apprezzare le cose che si vedono, nel loro insieme. Bisogna saper guardare per il semplice piacere di farlo. Altrimenti, non ha senso. Fatevi 350 km. sui rulli, sulla terrazza di casa, e amen!

Concludo con un'ultima, personalissima opinione.

Al tour bike non si partecipa perchè c'è una sorpresa da scoprire all'arrivo. Al tour bike si partecipa per scoprire tutto il percorso, per mettere alla prova la propria volontà, e le proprie forze.

Abbiamo attraversato paesaggi mozzafiato, abbiamo incrociato luoghi che sembrano fuori dal tempo, e parlato con persone ansiose di raccontarci, a noi estranei appena conosciuti, le loro vecchie storie. Questo è il motivo per cui vale la pena di partecipare al tour bike, almeno per me.

Se non riesci a cogliere qualcosa di bello durante il percorso, probabilmente non ne troverai neppure all'arrivo. Avrai soltanto sprecato tempo, e le tue energie.

Per quelli che parteciperanno alle prossime edizioni, trascrivo una strofa di quella canzone che mi ha rimbombato nella testa per tutto il tour bike. E' una strofa che, in verità, avevo completamente dimenticato:

Ed il più grande
conquistò nazione dopo nazione,
e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione
perchè più in là
non si poteva conquistare niente;
e tanta strada per vedere un sole disperato
e sempre uguale e sempre
come quando era partito.

Forse non lo sai, ma pure questo è amore.
Roberto Vecchioni

2 commenti:

Slacker ha detto...

Grande Francesco,finalmente un resoconto da tranquillo uomo comune e non da supersuperman come quelli postati da pseudociclisti che pensano di aver partecipato alla ritirata di Russia.
Quella di Napoleone.

Beppe, quello tra il divertito e l'incazzato

niubii ha detto...

Caro Beppe,

lo sapevo che dovevo usare nomi falsi! :-)

Scherzi a parte, spero di aver fissato nella memoria della Rete alcuni momenti significativi di questa esperienza.

Il termine "esperienza" che ho appena utilizzato mi e' costato cinque minuti di riflessione.

Il mio resoconto serve a condividere la mia conoscenza e a far rivivere i (nostri) ricordi.

Ciao
/niubii/